Nave cargo in fiamme in Alaska con 3.000 auto a bordo: è rischio ambientale

di pubblicata il , alle 08:50 nel canale Auto Elettriche Nave cargo in fiamme in Alaska con 3.000 auto a bordo: è rischio ambientale

La nave Morning Midas, con oltre 3.000 veicoli tra cui centinaia di auto elettriche e ibride, è stata abbandonata dall’equipaggio dopo un incendio al largo dell’Alaska. Cresce la preoccupazione per l’impatto ambientale e la sicurezza delle batterie.

 
73 Commenti
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idroCammello07 Giugno 2025, 18:03 #51
Originariamente inviato da: Strato1541
Come ha un costo costruire con certi standard..
Ora mettersi in competizione con chi ha la settimana 6-9 ( sei giorni di lavoro 9 ore al giorno, sulla carta poi è di più ).


Posso parlare per Taiwan : la manodopera straniera impiegata in varie fabbriche locali... quando ho potuto far due parole in uno dei parchi cittadini di Taichung (era una domenica pomeriggio con dei lavoratori filippini) : 6,5 giorni di lavoro settimanali.
sbaffo07 Giugno 2025, 19:20 #52
Le teorie economiche di Aipabo sono superate in stramberia solo da quelle di Darkon ,
per fortuna che gli altri hanno riportato la discussione alla realtà.

Comunque cercando "cina e Wto" su bing ecco i primi due risultati:
- "L'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO) è stata una scelta obbligata per la comunità mondiale, soprattutto per tentare di limitare i comportamenti commerciali aggressivi e di dumping utilizzati dalla Cina per penetrare con le proprie commodities nei mercati internazionali" https://www.cinesespresso.it/cina-entrata-wto/
- ancora meglio questo articolo della Gabanelli (nota Trumpiana ) che conferma che i comportamenti illegali non li hanno mai smessi:
https://www.corriere.it/dataroom-mi...ff5768-va.shtml
con disegni e video per i pigri.
Raccomando di darci un'occhiata.

Figurarsi che anche l'europa dormiente (e appecoronata) ha dovuto mettere dazi sulla auto, ma avrebbe dovuto metterli su molto altro già da anni.
Ma ha prevalso in parte l'ideolgia, ma soprattutto l'affarismo a breve termine, cioè riduzione costi e nuovo mercato, finchè oggi la situazione ci si sta ribaltando contro (in realtà in molti settori è già ribaltata da un pezzo).
Quando dieci-venti anni fa i sindacati scendevano in piazza contro la delocalizzazione erano detti sprezzantemente no-global dagli stessi benpensanti ottusi che una volta difendevano i lavoratori ma ormai seguivano le mode/ideologie radical-chic international-inclusive-buoniste (a dagli affaristi che gongolavano all'idea dei soldi che avrebbero fatto con l'appoggio degli "utili cretini", risultato siamo stati a 90 per vent'anni. Ora qualcuno si sveglia ma è tardi.
azi_muth08 Giugno 2025, 20:46 #53
Arrivo in ritardo in questa discussione...ma vorrei rispondere ai commenti più interessanti...

Originariamente inviato da: AlPaBo
Oh, gli argomenti ce li ho.

Il traffico internazionale si è evoluto per permettere ai vari paesi di specializzarsi ognuno in attività che erano congeniali. Invece di avere tante piccole realtà, ognuna inefficiente, ogni paese si può specializzare su cosa sa fare bene. C'è chi produce materie prime, chi produce cibo, chi produce energia e chi produce prodotti industriali. Noi, per esempio, abbiamo poche materie prime, un territorio montagnoso in cui la produzione di cibo è limitata (per cui ci siamo specializzati su prodotti ad alto valore, come il vino e l'olio, mentre molti prodotti agricoli li importiamo), difficoltà alla produzione di energia, e di conseguenza abbiamo puntato alla produzione industriale.


Per una volta sono d'accordo con te.
Stai richiamando in sostanza la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo: ogni paese dovrebbe specializzarsi in ciò che produce con minor costo opportunità, e il commercio internazionale diventerebbe un gioco a somma positiva. E in teoria, è vero: la specializzazione produce efficienza e benessere.

Tuttavia non è sempre vero che si tratti una scelta libera che si basi sugli aspetti più congeniali: spesso sono subite, determinate da vincoli storici, condizioni materiali, squilibri di potere. Alcuni paesi si sono trovati in ruoli periferici nelle catene globali del valore, senza vere alternative.

Ed è proprio da questi squilibri che spesso nascono le risposte autarchiche: reazioni politiche e culturali che, pur inefficaci sul piano economico, danno l’illusione di riprendere il controllo. È successo in passato, ed è quello che vediamo oggi.
azi_muth08 Giugno 2025, 20:58 #54
Originariamente inviato da: Strato1541
In realtà il commercio internazionale e la stessa "globalizzazione" si sono evoluti grazie al traffico, o meglio i mezzi di trasporto, non il contraio.
Mentre l'idea di "globalizzazione" nasce abbastanza a tavolino, perchè negli anni 50-60 del 900 quando gli scambi non erano così intesi come oggi , ogni Stato appartenente alle economie sviluppate riusciva a farsi in casa la maggior parte di ciò che gli serviva, in tutti i settori e vi erano piani volti a continuare in quella direzione ( anche in Italia ).
Il problema più grande era la necessità di combustibili fossili per supportare l'economia, da li le guerre per il petrolio, ma molto prima del mercato globalizzato.

Oggi si è arrivati a danneggiare le economie occidentali che hanno trainato il Mondo dalla seconda rivoluzione industriale in poi a favore di quelle asiatiche, sia nella produzione che nel consumo dei prodotti, il tutto a tavolino..
Un ritorno ad dei mercati più locali che favoriscano occupazione e consumi interni non è sbagliato, a meno che non si pensi di poter vivere facendo nulla come alcuni partiti politici nostrani ci hanno fatto credere..

Nessun attacco alla persona , ma a ciò che solitamente la persona scrive



Il miglioramento tecnologico (nei trasporti, nelle comunicazioni, nella logistica) è una condizione necessaria ma non sufficiente per la globalizzazione. Da solo non basta a spiegare né il quando né il come essa si sviluppa.

Le innovazioni nei trasporti (come il container, l’aereo cargo, o la nave portacontainer) e nella comunicazione (Internet, fibre ottiche, telefonia globale) rendono possibile l’integrazione economica su larga scala.
Ma non obbligano gli Stati o le imprese a globalizzarsi: sono le scelte politiche, strategiche e normative a dare forma concreta alla globalizzazione.

Negli anni ’50-’70, pur con tecnologie già avanzate per l’epoca, molti paesi occidentali scelsero modelli economici più chiusi, con forti interventi statali, barriere commerciali, autarchia selettiva e piani industriali nazionali.
Solo dagli anni ’80, con la spinta neoliberista (Reagan, Thatcher, FMI, WTO ecc.), si è scelto di aprire i mercati, liberalizzare i capitali e incentivare le delocalizzazioni. Non è stata una “naturale conseguenza” della tecnologia, ma una decisione politica consapevole.

La globalizzazione si è intensificata quando è diventata vantaggiosa per grandi imprese e potenze geopolitiche. L’abbattimento delle barriere commerciali e il costo del lavoro più basso nei paesi in via di sviluppo hanno favorito strategie di massimizzazione del profitto che hanno “spinto” il mondo verso una maggiore interconnessione.

Ad ulteriore conferma di tutto questo bisogna pensare che la globalizzazione è in realtà un fenomeno che si è già manifestato almeno tre volte in passato:
La prima tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, alimentata dalla rivoluzione industriale, dalle ferrovie, dalla navigazione a vapore e dal colonialismo. Anche allora ci fu un'intensa crescita del commercio internazionale, dei movimenti di capitale e delle migrazioni.

Dopo il crollo tra le due guerre, la seconda ondata parte nel secondo dopoguerra, ma all'inizio è molto regolata: gli stati puntano a ricostruire l’economia su basi più autonome, con piani nazionali, protezionismi selettivi e politiche industriali forti.

La terza ondata, la globalizzazione “contemporanea”, esplode dagli anni ’80-'90 in poi, con la finanziarizzazione, la delocalizzazione e la liberalizzazione dei capitali e dei commerci. Questa è quella che ha effettivamente ridisegnato il mondo su catene globali del valore, e che oggi mostra chiaramente i suoi limiti.

La globalizzazione attuale non è inevitabile né naturale, è una costruzione storica e politica. Ma non è nemmeno qualcosa di interamente "a tavolino": è il frutto di spinte tecnologiche, scelte di politica economica, interessi privati e trasformazioni sociali profonde.

Hai anche ragione nel dire che questa fase ha creato squilibri reali, con effetti pesanti sulle economie occidentali, soprattutto quelle industriali. Ma la soluzione non può essere un ritorno nostalgico all'autarchia o all'illusione del “fare tutto in casa”: quello era possibile solo in un contesto molto diverso, e comunque appoggiato su rapporti di forza (e di sfruttamento) oggi insostenibili.

Hai ragione anche sulla necessità di una maggiore autonomia strategica ma va costruita dentro un nuovo equilibrio globale, non contro di esso. Altrimenti si rischia di cedere alla tentazione reazionaria della chiusura, che storicamente ha sempre peggiorato la situazione.
azi_muth08 Giugno 2025, 21:47 #55
Originariamente inviato da: AlexSwitch
Abbastanza corretto ciò che hai scritto, come storia delle relazioni internazionali economiche e politiche, ma va data una giusta consecuzione logica.
La globalizzazione è un fenomeno complesso visto che si è sviluppato su vari piani con interdipendenze sistemiche tra le varie Nazioni, che è stato possibile in un preciso momento storico: l'apertura delle economie ex socialiste a seguito della caduta del blocco sovietico prima e dell'apertura all'economia mondiale della Cina. Da qui organizzazioni come il WTO hanno cominciato a regolare i flussi commerciali e gli scambi e diventando anche una guida per le legislazioni dei singoli Paesi.
Quindi, sostanzialmente, la globalizzazione si può inquadrare in tutta una serie di decisioni e di azioni politiche che hanno ridisegnato, nell'arco di un decennio, il commercio mondiale attraverso l'abbattimento di diverse barriere. E' un questa cornice che alla fine si sono integrate le varie reti di trasporto e comunicazione e la possibilità di spostare capitali d'investimento attraverso l'omogeneizzazione bancaria.
Ciò che non torna nel ragionamento di AlPaBo è che non tiene conto del fatto che la globalizzazione ha messo in diretta concorrenza intere regioni geografiche ed economie con la speranza, di fatto disattesa ancora oggi, che le frizioni politiche e geopolitiche venissero assorbite ed ammortizzate da una rete industriale e commerciale globale.
Certo, il mercato globale, unico grande merito che ha ottenuto, ha impedito di ripiombare in situazioni di crisi senza uscita che portarono a tragedie come la seconda Guerra Mondiale, anche se non ha impedito lo scoppio di conflitti che sono rimasti comunque confinati in determinate regioni del globo e limitati per intensità.


Ottimo come sempre Alex ma ti faccio qualche appunto:

Mi tocca difendere Alpabo( una stranezza almeno per me ) in questo caso non ha fatto altro che citare la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo...

Inoltre non ritengo realistico affermare che la globalizzazione abbia avuto di per sé il merito di evitare tragedie come la Seconda Guerra Mondiale. Questo tipo di lettura tende a sovrapporre le dinamiche economiche a quelle politiche, ignorando un elemento fondamentale: la globalizzazione, così come l’abbiamo conosciuta, è stata innanzitutto l’espressione del potere unipolare degli Stati Uniti, i veri architetti dell’ordine internazionale nato nel secondo dopoguerra. È infatti quell’ordine politico e militare — basato su alleanze (come la NATO), istituzioni multilaterali (ONU, FMI, Banca Mondiale), e soprattutto sulla supremazia economica e strategica degli USA — ad aver garantito una relativa stabilità globale per decenni. La globalizzazione ne è stata più un effetto che una causa: è potuta avanzare grazie alla presenza di un “garante” militare, economico e monetario (il dollaro come valuta globale), non grazie a un'intrinseca tendenza pacificatrice dei mercati.
La globalizzazione è in crisi perchè è in crisi il potere egemonico su cui si retta.

Quell’ordine ha sì evitato uno scontro diretto tra grandi potenze, ma è oggettovo che abbia prodotto numerosi conflitti regionali

Riguardo ai meriti il capitalismo globale ha dimostrato di essere spesso più efficace di molte politiche socialiste tradizionali nel sollevare ampie fasce di popolazione da condizioni di estrema povertà. In questo alcune teorie liberiste hanno trovato conferma nella realtà.

In Asia la globalizzazione e il capitalismo hanno tirato fuori milioni di persone dalla povertà, con risultati impressionanti in paesi come Cina, India e Vietnam. L’integrazione nei mercati globali ha favorito l’espansione delle esportazioni, la creazione di milioni di posti di lavoro e investimenti in infrastrutture, industria e tecnologia. Questo processo ha migliorato anche l’accesso all’istruzione e alla salute, generando un rapido sviluppo economico e sociale.
Tutto questo chiaramente ha avuto un costo: nei paesi sviluppati, spesso la globalizzazione ha prodotto stagnazione salariale, deindustrializzazione e anche nei paesi in via di sviluppo crescita delle disuguaglianze, degrado ambientale, diritti non tutelati...però si tratta comunque di passi avanti rispetto alle situazioni di partenza.
azi_muth08 Giugno 2025, 22:18 #56
Originariamente inviato da: sbaffo
Comunque cercando "cina e Wto" su bing ecco i primi due risultati:
- "L'ingresso della Cina nella World Trade Organization (WTO) è stata una scelta obbligata per la comunità mondiale, soprattutto per tentare di limitare i comportamenti commerciali aggressivi e di dumping utilizzati dalla Cina per penetrare con le proprie commodities nei mercati internazionali" https://www.cinesespresso.it/cina-entrata-wto/
- ancora meglio questo articolo della Gabanelli (nota Trumpiana ) che conferma che i comportamenti illegali non li hanno mai smessi:
https://www.corriere.it/dataroom-mi...ff5768-va.shtml
con disegni e video per i pigri.
Raccomando di darci un'occhiata.


Sbaffo il primo articolo però riporta una teoria abbastanza curiosa: ammesso che uno degli obiettivi dell’ammissione della Cina al WTO fosse quello di limitare pratiche scorrette come il dumping, la realtà ha dimostrato che questo risultato non è stato raggiunto. La Cina ha continuato per anni a sostenere massicciamente le proprie esportazioni tramite sussidi statali occulti alle imprese pubbliche e private, manipolazione valutaria (soprattutto nei primi anni 2000),accesso agevolato al credito interno e barriere non tariffarie. Per non parlare di violazioni del copyright e situazioni completamente asimmetriche che erano imposte agli investitori stranieri come obblighi di joint venture, trasferimento tecnologico forzato, limitazioni nei settori strategici.

L'adesione al WTO non ha contenuto questi comportamenti: li ha resi più potenti inserendoli in un sistema di scambi multilaterali che Pechino ha saputo sfruttare meglio di chiunque altro.

In realtà l’ingresso della Cina nel WTO non è un momento di svolta improvvisa, è stata solo la fase finale di un processo cominciato decenni prima. Già nel 1971 con il viaggio di Kissinger e poi nel 1979 con il riconoscimento diplomatico, gli Stati Uniti avevano accettato la Repubblica Popolare Cinese come unico interlocutore, togliendo il riconoscimento a Taiwan, che fino ad allora era considerata la vera rappresentante della Cina e occupava persino il suo seggio all’ONU.

Questo riconoscimento implicava anche l’accettazione della politica dell’unica Cina, con una condizione chiave: che Taiwan non fosse annessa militarmente. La decisione fu innanzitutto geopolitica, per contrapporre la Cina all’URSS nel quadro della Guerra Fredda, e solo secondariamente economica.

L’apertura al mercato mondiale e l’adesione al WTO erano viste anche come strumenti per favorire una possibile transizione democratica: si credeva che il capitalismo avrebbe portato con sé la liberalizzazione politica (“la Coca Cola che corrode i muri&#8221. Questa visione si è però dimostrata ingenua: la Cina ha sfruttato l’integrazione economica per rafforzare il proprio modello autoritario, mantenendo pratiche scorrette come dumping, sussidi statali e violazioni della proprietà intellettuale, anche dopo l’ingresso nel WTO.
Notturnia08 Giugno 2025, 23:56 #57
Originariamente inviato da: AlPaBo
Direi che la tua comprensione del traffico di merci internazionale è pari a quella di Trump (No, non è un complimento)


Originariamente inviato da: idroCammello
però la risposta dell' utente Notturnia è scritta argomentando e arriva ad una conclusione condivisibile : la mancanza di vera etica . La trovo scritta bene

non capisco invece il senso di paragonare un utente del forum al presidente degli States. Una boutade gratuita? (No, non è una domanda) (Si, copio le battute)


Dicono che quando uno ha perso a parole inizi con le offese e poi le mani..
Temo che AlPaBo sia a corto di discorsi e non legga quello che viene scritto, di conseguenza passa alle offese velocemente quando si rende conto di aver “perso” il dibattito

Non mi preoccupo delle sue battutine ma mi delude vedere che molti, come lui, non hanno capito molto di come si dovrebbe “sfruttare” il piena e pensa che ci sia cooperazione fra le nazioni non capendo che è cane mangia cane qua nell’economia..

A me dispiace che non si possa tornare ad un mondo più a misura d’uomo ma so che è un peccato per noi non vivere un pianeta più “lento” .. era certamente più rispettato da chi lo ha vissuto negli anni ‘60 e successivi..

Questa teoria professata di produrre dove si produce meglio o o con più efficienza lascia il fianco agli interessi economici e agli aiuti di stato o allo sfruttamento delle persone e del pianeta (turni di lavoro folli, uso di carbone come fosse acqua, inquinamento di aria e fiumi senza pensare ai problemi di “domani”)

In questo siamo anche noi colpevoli ma sarebbe ora di tassare i danni prodotti dalle merci che si comprano .. basterebbe quello per ridurre l’import di prodotti che potremmo farci in casa e ridurre l’inquinamento.. altro che aumentare la logistica per produrre dove l’inquinamento si può nascondere come suggerisce alpabo..
Notturnia09 Giugno 2025, 03:48 #58
Originariamente inviato da: azi_muth
Sbaffo il primo articolo però riporta una teoria abbastanza curiosa: ammesso che uno degli obiettivi dell’ammissione della Cina al WTO fosse quello di limitare pratiche scorrette come il dumping, la realtà ha dimostrato che questo risultato non è stato raggiunto. La Cina ha continuato per anni a sostenere massicciamente le proprie esportazioni tramite sussidi statali occulti alle imprese pubbliche e private, manipolazione valutaria (soprattutto nei primi anni 2000),accesso agevolato al credito interno e barriere non tariffarie. Per non parlare di violazioni del copyright e situazioni completamente asimmetriche che erano imposte agli investitori stranieri come obblighi di joint venture, trasferimento tecnologico forzato, limitazioni nei settori strategici.

L'adesione al WTO non ha contenuto questi comportamenti: li ha resi più potenti inserendoli in un sistema di scambi multilaterali che Pechino ha saputo sfruttare meglio di chiunque altro.

In realtà l’ingresso della Cina nel WTO non è un momento di svolta improvvisa, è stata solo la fase finale di un processo cominciato decenni prima. Già nel 1971 con il viaggio di Kissinger e poi nel 1979 con il riconoscimento diplomatico, gli Stati Uniti avevano accettato la Repubblica Popolare Cinese come unico interlocutore, togliendo il riconoscimento a Taiwan, che fino ad allora era considerata la vera rappresentante della Cina e occupava persino il suo seggio all’ONU.

Questo riconoscimento implicava anche l’accettazione della politica dell’unica Cina, con una condizione chiave: che Taiwan non fosse annessa militarmente. La decisione fu innanzitutto geopolitica, per contrapporre la Cina all’URSS nel quadro della Guerra Fredda, e solo secondariamente economica.

L’apertura al mercato mondiale e l’adesione al WTO erano viste anche come strumenti per favorire una possibile transizione democratica: si credeva che il capitalismo avrebbe portato con sé la liberalizzazione politica (“la Coca Cola che corrode i muri”). Questa visione si è però dimostrata ingenua: la Cina ha sfruttato l’integrazione economica per rafforzare il proprio modello autoritario, mantenendo pratiche scorrette come dumping, sussidi statali e violazioni della proprietà intellettuale, anche dopo l’ingresso nel WTO.


Quotone.. la Cina ci ha fregati di brutto dagli anni ‘60 a seguire perchè siamo stati ingenui e abbiamo creduto che fossero “controllabili”.. bisognava leggere più libri cinesi per capire che “gestire” la loro voglia di dominare il mondo era puerile.. ora dobbiamo leccarci le ferite e vedere se vogliamo reagire o farci annettere (economicamente parlando) recedendo come qualità della vita
azi_muth09 Giugno 2025, 10:52 #59
Originariamente inviato da: unnilennium
Sono ignorante, ma mi sarebbe utile capire efficienza della produzione industriale in Cina... Ma non era il profitto? Un operaio cinese sarà uguale ad uno polacco, o italiano, solo che costa meno. Il margine di profitto è più alto e punto. Efficienza dalle centrali a carbone, da nessuna normativa anche lontanamente simile a quelle nei paesi occidentali, sia la sicurezza sul lavoro, inquinamento, tutele del lavoro stesso. Si chiama efficienza adesso...


In Italia la questione dell'efficienza è spesso fraintesa: in parole semplici l'efficienza è concetto economico per il quale si produce più con meno.

Da noi quando si parla di efficienza si pensa solo all'efficienza a volume, ovvero alla [U]quantità fisica di beni o servizi [/U]prodotti in relazione alle risorse utilizzate. Un esempio classico è la produttività del lavoro, che misura quante unità di prodotto vengono generate per ora lavorata.

Tuttavia in economia oltre al lavoro, il capitale (macchinari, impianti, denaro investito, ecc.) è un fattore produttivo e in questo caso si parla di efficienza a valore, ovvero [U]la quantità di valore economico e profitto prodotti[/U] in relazione alle risorse utilizzate, indipendentemente dal volume.

Tra le due l'efficienza a valore è la più importante perché un'azienda può produrre volumi enormi (essere efficiente a volume), ma se quei prodotti non sono richiesti dal mercato, vengono venduti a prezzi troppo bassi o non coprono i costi (inclusa la remunerazione del capitale investito), quel "volume" non genera ricchezza.

La vera efficienza, quindi, non è solo produrre tanto, ma produrre ciò che il mercato valuta e che genera profitto e sostenibilità per l'impresa e per chi ha investito in essa.
azi_muth09 Giugno 2025, 14:18 #60
Originariamente inviato da: Notturnia
Dicono che quando uno ha perso a parole inizi con le offese e poi le mani..
Temo che AlPaBo sia a corto di discorsi e non legga quello che viene scritto, di conseguenza passa alle offese velocemente quando si rende conto di aver “perso” il dibattito

Non mi preoccupo delle sue battutine ma mi delude vedere che molti, come lui, non hanno capito molto di come si dovrebbe “sfruttare” il piena e pensa che ci sia cooperazione fra le nazioni non capendo che è cane mangia cane qua nell’economia..

A me dispiace che non si possa tornare ad un mondo più a misura d’uomo ma so che è un peccato per noi non vivere un pianeta più “lento” .. era certamente più rispettato da chi lo ha vissuto negli anni ‘60 e successivi..

Questa teoria professata di produrre dove si produce meglio o o con più efficienza lascia il fianco agli interessi economici e agli aiuti di stato o allo sfruttamento delle persone e del pianeta (turni di lavoro folli, uso di carbone come fosse acqua, inquinamento di aria e fiumi senza pensare ai problemi di “domani&#8221

In questo siamo anche noi colpevoli ma sarebbe ora di tassare i danni prodotti dalle merci che si comprano .. basterebbe quello per ridurre l’import di prodotti che potremmo farci in casa e ridurre l’inquinamento.. altro che aumentare la logistica per produrre dove l’inquinamento si può nascondere come suggerisce alpabo..


Notturnia la teoria del vantaggio comparato non è di per sé cinica o disumanizzante.
E' descrittiva ovvero cerca di spiegare come due paesi possano trarre beneficio reciproco dallo scambio internazionale anche quando uno dei due è più efficiente in entrambi i settori produttivi, ma non detta certo le condizioni a cui avviene lo scambio. In questo senso, ha la stessa “neutralità” di una legge fisica, come l’attrazione gravitazionale.

E' vero che che produrre dove costa meno spesso significa inquinare di più e sfruttare di più ( anche qui si finisce in un discorso etico un po' in salita). Ma la soluzione non è necessariamente un ritorno all’autarchia o al protezionismo puro: rischieremmo di chiuderci, perdere competitività e creare nuove disuguaglianze interne.

La via più sensata è invece quella che punta a internalizzare i costi sociali e ambientali: tassare i prodotti con elevato impatto ambientale o umano, promuovere standard comuni minimi, e orientare la produzione verso settori ad alto valore aggiunto, investendo in innovazione, qualità e sostenibilità.

Tuttavia non è una strada facile, il sistema internazionale è segnato da forti asimmetrie: alcuni paesi possono permettersi di ignorare certi standard e fare pressioni per modificare le normative interne degli altri e anche istituzioni globali (come WTO, FMI o ONU) risentono degli equilibri di potere, che spesso riflettono più interessi geopolitici che principi condivisi.

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