Esportazioni di magneti in terre rare dalla Cina agli USA: +660% a giugno dopo l'accordo commerciale
di Manolo De Agostini pubblicata il 21 Luglio 2025, alle 15:01 nel canale Mercato Green
Dopo un accordo commerciale con gli Stati Uniti, le esportazioni cinesi di magneti permanenti in terre rare sono tornate a crescere a giugno, segnando un balzo del 660% rispetto a maggio. Tuttavia, i volumi restano inferiori ai livelli del 2024.
Dopo mesi di stallo nelle forniture, le esportazioni cinesi di magneti permanenti in terre rare sono tornate a crescere in maniera significativa nel mese di giugno, in seguito all'accordo commerciale preliminare tra Pechino e Washington. Secondo i dati diffusi dall'Amministrazione Generale delle Dogane cinese, riportati dalla CNBC, la Cina ha esportato globalmente 3.188 tonnellate di questi componenti critici, quasi triplicando il volume rispetto al mese precedente. Solo gli Stati Uniti hanno ricevuto circa 353 tonnellate, segnando un balzo del 660% rispetto a maggio.
Tuttavia, i volumi restano inferiori rispetto allo stesso mese del 2024, con un calo del 38% su base annua. Un dato che, nonostante il rimbalzo congiunturale, alimenta le preoccupazioni dei produttori occidentali, costretti a fare i conti con forniture incerte e dipendenza quasi totale dalla Cina, che detiene circa il 90% della capacità globale di raffinazione delle terre rare.
L'impennata delle esportazioni segue la decisione di Pechino di rilasciare nuove licenze di esportazione, dopo averle drasticamente limitate in aprile come risposta alle politiche tariffarie statunitensi. Tra gli elementi coinvolti, vi sono metalli chiave come disprosio e terbio, fondamentali per la produzione di magneti impiegati in tecnologie avanzate quali veicoli elettrici, turbine eoliche, dispositivi medici e sistemi di difesa.
Il blocco delle esportazioni aveva già causato interruzioni nella produzione di diverse aziende, inclusi fornitori europei di componentistica per auto e persino la linea di robot umanoidi Optimus di Tesla, secondo quanto dichiarato da Elon Musk. La situazione ha spinto molte aziende a ricorrere ad alternative d'emergenza, come spedizioni aeree costose o la progettazione di prodotti con magneti meno performanti e privi di elementi soggetti a restrizioni.
Intanto, l'intelligence cinese ha intensificato il controllo sul comparto. Il Ministero della Sicurezza di Stato ha denunciato tentativi di spionaggio industriale da parte di agenzie straniere, accusate di cercare accesso a materiali strategici. Le autorità cinesi hanno anche chiesto alle aziende del settore di registrare i dati del personale tecnico, con l'obiettivo di evitare la fuga di know-how sensibile.
Sul fronte occidentale, i governi stanno accelerando gli sforzi per rafforzare l'autonomia strategica. Negli Stati Uniti, MP Materials – principale miner di terre rare del Paese – ha recentemente firmato un accordo con il Pentagono, che prevede un investimento governativo e la realizzazione entro il 2028 di una struttura per la produzione interna di magneti su larga scala. Parallelamente, Apple ha annunciato un piano da 500 milioni di dollari con MP Materials per sviluppare una filiera di riciclo dei magneti direttamente negli Stati Uniti.
Nonostante questi segnali, gli analisti avvertono che la costruzione di un'alternativa credibile alla catena di approvvigionamento cinese richiederà anni, a causa della complessità tecnica dei processi di separazione e raffinazione delle terre rare.
In conclusione, se da un lato le nuove licenze cinesi e l'accordo commerciale con gli Stati Uniti offrono un temporaneo sollievo al mercato globale dei magneti, dall'altro il futuro rimane incerto. La dipendenza strutturale dalla Cina persiste, e le industrie occidentali si stanno preparando a scenari in cui le restrizioni all'export potrebbero diventare una costante del confronto geopolitico.
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